” Il più laudato incisore dei veneti dogi ” di Claudio Spagnol
Antonio Nani nacque ad Alano di Piave il 10 agosto 1803.
Autentico bambino prodigio, il suo notevole ingegno artistico venne presto riconosciuto sia dal padre che da Antonio Canova, il quale – in occasione dell’esame per l’ammissione all’Accademia delle Belle Arti di Venezia – scrisse una lettera di presentazione, caldeggiandone l’ammissione.
Conclusi brillantemente gli studi all’Accademia, dove si specializzò in incisione, Antonio aprì una bottega a Venezia, dando inizio ad una produzione vastissima e di elevata qualità, che divenne anche veicolo di divulgazione della cultura e del sapere. Nel 1800 il commercio delle incisioni era infatti molto sviluppato.
Le incisioni erano richieste dagli enti religiosi, che facevano stampare le loro immagini devozionali, dai commercianti di stampe e anche da molti artisti, che le utilizzavano per esercitarsi nella copia.
Tra le opere più celebri del periodo veneziano troviamo le vedute di Venezia e la serie dei ritratti dei dogi di Venezia, un’opera imponente che lo rese giustamente famoso, non a caso A Nani è definito „Il più laudato incisore dei veneti dogi“
Nel 1839 si trasferì aTreviso dove diede alle stampe le Vedute principali della città di Treviso.
Le lastre in rame sono tuttora conservate presso il Museo Civico della città.
Nel 1848 tornò ad Alano, dove rimase fino alla morte.
In questo periodo gli vennero commissionate le tavole per l’opera Omnia di C. Goldoni, a conferma della altissima reputazione di cui A Nani ancora godeva.
Nel 1860, su richiesta dei suoi concittadini, disegnò il campanile della chiesa parrocchiale con la collaborazione tecnica di Giuseppe Segusini, affermato architetto e suo compagno di studi. Segusini portò a conclusione l’opera nel 1888, diciotto anni dopo la scomparsa dell’incisore.
Il campanile di Alano, disegnato da A. Nani, è costruito interamente in calcare dolomitico bianco, localmente chiamato “maségno”. I conci del basamento e quelli angolari provengono da Possagno, mentre tutto il resto veniva estratto dalla cava alanese situata alle pendici del monte Zòch, in località Masarè.
Il toponimo, probabilmente derivato dal vocabolo latino maceries, si riscontra anche in altre aree del bellunese, ad esempio nell’agordino, ed è tipico di zone in cui veniva cavato materiale da costruzione. Qui i massi venivano estratti, spaccati in varie misure con mazze e cunei e sbozzati. Dopodiché si procedeva al trasporto a valle, per mezzo di slitte da carico, le “musse”, nei punti più impervi e ripidi e poi con carri trainati da animali lungo le mulattiere più comodamente transitabili. Tutta l’attività che si svolgeva ai Masarè è documentata da testimonianze materiali: le “masiére”, ovvero le pietraie formate dai pezzi di scarto, i ricoveri con muri a secco che ospitavano gli scalpellini e i vari sentieri lungo i quali si trasportava il materiale sono ancora perfettamente visibili.
Alano ha una lunga tradizione nella lavorazione della pietra, come si evince da una lettera del 1488 nella quale il podestà di Treviso prega il Doge di Venezia di intervenire presso di podestà di BL affinché imponga agli zattieri che discendono il Piave di far tappa nel porto di Fener per caricare alcuni carri di pietre per pavimentare le piazze della città.